02 novembre 2008

PUBBLICITA'


Ciao a chi segue ancora il vecchio in delirio.

Nel post qui sotto ho descritto i motivi che mi hanno spinto a tradurre un copione vecchio, polveroso eppure affascinante e molto stimolante.

Andrà in scena fra sei mesi. Aggiungerò indicazioni e altro.

Per adesso metto la scheda, poi vedremo

Ciao!!
THEALTRO presenta
DRACULA
Di Hamilton Deane e John Balderston
Prima traduzione italiana, adattamento e regia di
Antonello Panero
Con:
Davide Bernardi,
Massimiliano Bortolan,
Carola Cauchi,
Massimo Chionetti,
Enrico Cravero,
Fabio De Remigis,
Federico Sacchi,
Veronica Stilla.

PROSSIMAMENTE - APRILE 2009



Tradurre il Dracula di Hamilton Deane e John Balderston. Perché? Cosa ci può essere di utile nel rendere in italiano un testo di ottanta anni fa e cercare di metterlo in scena?
Prima di tutto: perché la figura di Dracula è così legata all’immaginario collettivo da essere, forse, una delle poche immagini che saltano alla mente di chiunque, indipendentemente dall’età, dalla cultura e dal ceto. Quindi, una figura universale o, come si abusa oggi, un’icona. E poi perché la figura del vampiro suscita con la stessa intensità, repulsione e fascino. Anzi, direi quasi che Dracula affascina proprio perché è repellente: il suo carisma è pari alla malvagità. Abbiamo un moto di attrazione/repulsione nei suoi confronti. Abbiamo paura di sentirci attratti dal mondo oscuro, ma fondamentalmente romantico e sensuale, che scatena e vorremmo esserne prede: un tuffo nell’irrazionale, una forma di liberazione dalle catene della consuetudine. Dracula ci potrebbe rivelare una parte di noi che non conosciamo, pur sapendo benissimo dov’è: dentro di noi, in ciascuno di noi, esiste una terra-di-nessuno in cui potremmo essere diversi da ciò che siamo, e Dracula punta proprio su questo. Potremmo diventare noi stessi dei vampiri, trasformare altre persone in non-morti (o, per assurdo, in mai-morti, quindi immortali e perciò superiori all’umanità). Ognuno di noi, nella sua ossequiosa obbedienza ai princìpi morali della società, cova nell’intimo il sogno di poter diventare altro da sé; e Dracula fa leva proprio su questo. Perciò non abbiamo paura, semmai sospetto. E il sospetto va di pari passo con l’incertezza e con il dubbio, punto di origine di ogni cambiamento, sia d’idea sia di abitudine. Dracula è il nuovo che non conosciamo, lo straniero che porta doni, il futuro ignoto e misterioso. La paura è un brivido: il terrore, invece, è un terremoto, un disastro. Perdiamo coscienza di noi stessi quando siamo terrorizzati, mentre quando abbiamo paura, viviamo con maggiore profondità, con tutti i nostri sensi, attivati e pronti. Dire che la pura è un sentimento positivo può suonare strano, ma è così. Nel secolo che attraversiamo, siamo circondati da timori, rischi, terrori ma facciamo di tutto per non avere paura. Le terapie mediche, basate su pillole e gocce, cercano di eliminare dalla nostra vita proprio la paura: la pura di morire, di ammalarsi, di rimanere soli. Queste, però, non sono paure: sono terrori. Le paure ci farebbero sentire più attenti e concentrati, perciò la società odierna fa di tutto per sopirle e tenerle sotto controllo. Il miglior modo per appiattire le menti e le coscienze è di eliminare la paura e cospargere le vite altrui di terrore. Perciò può essere interessante vedere la reazione della gente di fronte a qualcosa che fa paura senza terrorizzare: Dracula, appunto. Sappiamo come tenerlo a bada, addirittura come sconfiggerlo (aglio, aconito o luparia, luce solare, ostie, acqua benedetta e paletti di frassino): possiamo dire lo stesso dell’AIDS, del cancro o delle cellule terroristiche?