28 febbraio 2007

DI 28 CE N'E' 1...


...tutti gli altri fanno quello che gli pare. Tipo che stasera non mi prende ma niente ma niente di rincoglionirmi a sentir gemere cloni di pecorume che dicono essere cantanti a Sanremo. Mica snobismo, baccelloni del mio cuor, è che oltre al cardiologo e il neurologo e il dentista non voglio anche frequentare un otorinolaringoiatra né men che meno uno psicologo. Ho sentito mezza canzone e non ho capito se l'audio del TV era ben regolato o quella povera ragazza bisognerebbe abbaterla come si fa nelle mandrie con i puledri azzoppati. Non si può far soffrire così una creatura, andiamo! Già sentire gli originali fa schifo ma tollerare i soliti imitatori di mezze seghe tipo Giorgia, Elisa, Oxa e Cremonini mi pare una condanna che neanche a Norimberga hanno avuto il coraggio di infliggere. Snob? Dite così? Davvero? Boh...spengo il televisore, leggo un pò e poi vedo e già che ci sono, visto che mi trovate snob, mi cito:

"Essere chiusi fuori da un manicomio è meglio che starci dentro senza accorgersene".

Baciatevi, se volete. Io non lo faccio di certo.

Grunt!

19 febbraio 2007

ESSERE O NON ESSERE...


vivi? Ieri sera ho recitato. Il ruolo mi impone di rimanere immobile in scena per 100 minuti, parlando solo in due scene. Per la prima volta nella mia carriera vivo lo spettacolo dall'interno, coinvolto dalla prima all'ultima parola dei miei compagni. Ieri sera, per la prima volta, ho sperimentato uno stato di assoluta trance. Ero talmente calato e coinvolto che al termine, per quasi cinque minuti, sono stato incapace di parlare e reagire normalmente. Ero ancora nel personaggio ed ho faticato non poco ad uscirne. Adesso sto per tornare in teatro a replicare per l'ultima volta questo testo. Vi confesso di sentirmi a posto, preparato e concentrato, ma di avere una strana sensazione di sdoppiamento. Spero che tutte queste emozioni arrivino al pubblico. Ecco perchè ho messo la foto di un Maestro. Quando l'ho visto recitare in teatro dava a me spettatore le sensazioni che adesso provo io come attore. Ho imparato qualcosa da un grande e lo voglio dire a tutti Voi, baccelloni miei, Voi che recitate, cantate, suonate, dipingete, scrivete.
Ci capiamo, vero? Quando trasmettiamo un'emozione, anche se non solo in teatro, ci sentiamo vivi. E non c'è niente di più bello al mondo. Grazie, Vita!

E grazie, Vittorio!

14 febbraio 2007

VIVERE SOPRA O SOPRAVVIVERE?





Torino, ormai, vive di nascite e morti. E basta.
Mi spiego meglio: non leggo sempre quotidiani ma è un lusso che mi concedo quando mi trovo a casa per malattia, come se non bastassero i farmaci a rendermi pesante la salute.
LA STAMPA nuova versione mi piace più della precedente, riesco persino a leggerla senza infagottare le pagine e mi sembra diventata persino più interessante. Poteri della medicina, dico. Scorro i titoloni.
Problemi in politica, Rutelli critica le sinistre senza un briciolo di autocommiserazione, Berlusconi fa ingelosire la moglie e ci sciroppiamo le crisi familiari (Casa delle Libertà vorrà pur significare qualcosa, no?), Prodi si fa odiare da tutti, la questione dei PACS sembra importante quanto il terrorismo internazionale (mentre con un minimo di buonsenso si capirebbe che vivere insieme giorno dopo giorno è molto più coraggioso che dire “sì” in chiesa), il Vaticano non si occupa di politica (ma forse Dio fa tutto da solo e perciò hanno del tempo libero), eccetera eccetera.
Trovo mostruoso il fatto che negli stadi non ci sia altro che pericolo o che vengano esposti striscioni che inneggiano sempre e solo alla violenza. Il calcio, in fondo, è tutto quello che interessa all’Italia di oggi: ma non è più un gioco. È diventato il terreno fertile della corruzione e della faziosità più ignorante ed intransigente e non passa una settimana senza il morto ammazzato o pestaggi vari. Erano più civili i tempi del Colosseo: almeno davanti avevi un leone, non una massa di pecore assassine.
Leggo che Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, è costretto a lasciare la Turchia natale perché minacciato e perseguitato e penso con tristezza che il nostro Dario Fo, ammirato e celebrato in tutto il mondo, qui da noi sia considerato quanto un buffone qualunque.
Un articolone mi spiega che l’effetto serra causerà sconvolgimenti climatici e ambientali nei prossimi anni: non ne avevo bisogno, me ne accorgo già a febbraio con 16 gradi e le primule nei prati. Però nessuno che pensi, magari, a ridurre un po’ i consumi o a far notare agli USA, se ci ascoltano, che le loro centrali nucleari sono un po’ troppe.
India e Cina dicono che è più importante uscire dalla miseria che avere aria pulita.
Quando finirà l’aria finirà certamente anche la miseria, tranquilli. Basta aspettare. Io non ho fretta.
E poi banche che si fondono fra loro e borse che vanno in altalena. Solita roba.
Torino? Tutto bene, grazie. Non funziona niente (dicono i torinesi) ma a me piace di più, perlomeno dal vivo: però, sulle pagine dei quotidiani non ci sono altro che notizie disastrose sul traffico, la Metro (che è una meraviglia ma è corta e per allungarla occorrono lavori che mettono i torinesi in ansia), il nuovo stadio, il vecchio stadio e gli avanzi delle Olimpiadi. Ogni torinese ha la sua formula per la città perfetta ma, chissà perché, nessuno la presenta. Chi la presenta e viene eletto in qualche carica più o meno autorevole, immediatamente si impantana nelle grane della gestione precedente e il segreto rimane inviolato.
Non c’è un solo torinese che abbia il coraggio di dire bene della città o, se lo fa, se ne vergogna subito. Mi ricordo i tempi della DC: nessuno l’ha mai votata ma è stata al governo 50 anni e più. Tutto va ben, madama la Marchesa e tira a campare.
Un punto, però, attira la mia attenzione da qualche tempo. Ho notato che i cartelloni pubblicitari e le inserzioni a piena pagina nei quotidiani, per non parlare dei nuovi negozi che sorgono in città, spingono la gente in tre direzioni: figli, prestiti e funerali. A parte automobili, vacanze e belle figliole in mostra per profumi o accessori di moda non si vede altro.
Nella strada in cui abito, negli ultimi mesi sono spuntati almeno quattro uffici di mediazione immobiliare o finanziaria, un paio di negozi specializzati per bambini e una sede della celebre ditta funeraria che non nomino perché la conosciamo tutti. Le pubblicità su autobus e strade non dicono altro che “una grande vita merita un grande funerale” (la mia e quella di tanti altri, perciò, merita il lancio nella discarica e va che va bene), o roba similmente iettatoria, oppure ci informano della nascita di un centro per vestire i bambini, di una scuola per insegnar loro tutto ciò di cui non avranno mai bisogno, di centri estetici e di uffici dove ti prestano tutti i soldi che vuoi (se poi vai a bagno, non preoccuparti che c’è chi ti presta anche la parcella dell’avvocato e ricominci, come il MONOPOLI).
È una sensazione strana.
Mi sembra che ci vogliano convincere che fare figli, vivere al di sopra delle nostre possibilità, cambiare auto e cellulare ogni mese, scoprire i Tropici ed essere seppelliti in pompa magna sia tutto quello che ci serve. Fanno finanziamenti persino per i funerali, meno male! Così agli eredi lascio anche un paio di chili di cambiali per essere ricordato meglio!
Siamo arrivati ad un punto di mancanza culturale che fa quasi rimpiangere il Medioevo eppure ci illudono che la felicità per un bambino è una carrozzina a tre ruote con freno (giuro, ne ho viste), un corso di vela, un cellulare e tutte le novità informatiche. E per noi una crociera almeno, centri benessere e televisori talmente grandi che li devi guardare dal terrazzo per non ustionarti le cornee. Ma è giusto. Per essere devi avere, perciò, se non puoi, per avere devi farti prestare.
Nascite e morti, insomma. In mezzo? Un gran buco da riempire.
Sempre meno lavoro, sempre più criminalità, sempre meno certezze. Aumentano l’alcoolismo, le violenze domestiche, la droga, la solitudine che ti infila nel gorgo delle depressioni e vai così.

Una grande infelicità tra il primo vagito e l’ultima bestemmia.
Karl Valentin, tanto tempo fa, ha detto “Una volta, il futuro era meglio”.
Vorrei che mi avessero venduto un giornale del secolo scorso.

CARO FEDERICO,


per anni non ho fatto altro che vedere e rivedere i tuoi film e, forse, ne ho fatto indigestione. O forse ero troppo giovane e la passione per il cinema era tale che non potevo smettere. Ero sempre alla scoperta di cose nuove, nuovi autori e nuove emozioni. Ho fatto bene, certo, ma da qualche tempo ho smesso di essere onnivoro. Per questo ho ricominciato a guardare le pellicole che ci hai lasciato: alcune, che avevo amato, non mi hanno più parlato allo stesso modo ma altri, invece, mi hanno letteralmente sommerso di emozioni. E tutto questo perchè sono invecchiato ed ho cominciato a capire finalmente qualcosa della vita. Ecco perchè 8 e mezzo è in assoluto il film che preferisco, e così Il Casanova, Ginger e Fred e, naturalmente, Amarcord. Ecco perchè fra tutti gli autori sei sempre quello che mi emoziona ogni volta, insieme a Billy Wilder, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick e pochi altri. Forse perchè il fatto che oggi vi capisco meglio, sempre più a fondo, mi fa sembrare bellissimo il tempo che mi invecchia. Ed è una sensazione straordinaria.
Grazie, Federico.






09 febbraio 2007

WE'LL MEET AGAIN...


...don't know where, don't know when but I know we'll meet again some sunny day. Una canzone vecchia di cinquant'anni, già entrata nella leggenda perchè Kubrick la mise alla fine di Dr.Strangelove mentre le bombe atomiche (anzi "ordigni fine di mondo") rendevano giustizia al genere umano esplodendo qua e là. Eravamo nel '63 e la canzone era già vecchia ma la voce di Vera Lynn le donava il fascino delle pagine che scricchiolano in un album di foto. Nemmeno Sinatra era riuscito a non cantare una canzone così bella e semplice e ne aveva fatto un capolavoro. Ma cosa mi è preso, baccelli miei? Perchè vado a riesumare polverose melodie e le beatifico con l'entusiasmo necrofilo del peggior Paolo Limiti? Cosa mi ha tenuto lontano dalla tastiera per quasi venti giorni? Non credo l'effetto del compleanno e nemmeno un attacco di precoce rincoglionimento senile.

Penso sia dovuto al fatto che la mia salute si sia messa a protestare e mi abbia creato un pò di problemi (che non vi racconto perchè non ho l'arte di Stephen King). Sono stato lontano dal lavoro e mi sono scoperto più forte di me stesso. Ho resistito alla mancanza di salute (anzi, alla terapia che è stata peggiore della malattia) e l'ho fatto senza mai provare paura o sconforto. Se fossi un Santo, tutto bene. Ma non lo sono. Infatti mi sono incazzato oltre l'umano per le condizioni penose che mi hanno causato i farmaci. E questo è stato il bello. Ha funzionato. Mi muovevo per casa come Gollum, chino e storto, non riuscivo a mangiare né a parlare e non avevo un centimetro quadrato di corpo che non mi facesse soffrire e tutto grazie ai farmaci che mi avrebbero dovuto guarire. Ho smarronato di brutto, vomitando insulti e volgarità irriferibili che avrebbero fatto cambiare mestiere ad un esorcista. E ne sto uscendo.
Non voglio dire che le parolacce guariscono tutte le malattie, però riportano la nostra coscienza a quell'umanità che i farmaci spesso ci sottraggono. Ci sentiamo vicini alla terra ma non abbiamo voglia di andarci sotto.
Aiuta. Credetemi, baccelli miei.
E un modo straordinario per ricordare che la terra ci chiama e che abbiamo bisogno di lei, perciò di tornare a sentirci umani fino in fondo, è quello di ascoltare l'album la cui copertina è in alto a destra. The man comes around - American IV di Johnny Cash. La sua voce è fatta di terra, quella dell'America buona e coraggiosa che è morta con lui. La sua voce è fatta di roccia, scabra e tagliente ma buona a far montagne. Ed è una voce capace di cantare canzoni d'amore (non "romantiche"), ballate country e perfino di ricordarci che Bridge over troubled water di Simon & Garfunkel, quando un grande cuore la canta, non sembra uno degli inni dei Ciellini a Rimini.
E questo disco meraviglioso si chiude proprio con la promessa che ci ritroveremo, non so dove, non so quando, ma so che ci ritroveremo in un giorno di sole. E stavolta Stranamore non fa saltare bombe perchè ne sono già scoppiate troppe.
Ho ancora qualche nuvola attorno, ma lunedì torno a lavorare. Un pò più debole, un pò più stanco, un pò più tremolante ma sicuramente più saggio. Si diventa saggi per necessità e non per amore: quello serve a San Valentino per i baccelli più teneri che non hanno ancora capito da che parte arriva la fregatura e sono convinti che con la donna giusta tutto cambia. Certo, per lei. Per noi non cambia mai niente a meno che non siamo anche noi l'uomo giusto, soprattutto verso noi stessi, e non c'è più nessuno disposto a rinunciare a qualcosa in attesa di qualcosa di meglio. La pazienza che ti viene dalla malattia non la sappiamo valutare e non vediamo l'ora di guarire. Quando la malattia non guarirà mai, invece, ci si adegua e si scopre un altro lato della vita: la profondità. Cash stava morendo e continuava a cantare canzoni splendide e piene di sincerità. Per questo il mondo va come va: è nelle mani dei cosiddetti sani, ciechi a tutto fuorchè al loro tornaconto. Anche per loro (se capiscono l'ironia) mi unisco al coro e canto We'll meet again...
Ciao, baccelloni!